M. Marcacci u.a. (Hrsg.): Per tutti e per ciascuno

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Titel
Per tutti e per ciascuno. La scuola pubblica nel Cantone Ticino dall’Ottocento ai giorni nostri


Herausgeber
Marcacci, Marco; Valsangiacomo Nelly
Erschienen
Locarno 2015: Dadò
Anzahl Seiten
354 S.
von
Maurizio Binaghi

Pubblicato nel 2015 su iniziativa della Società Demopedeutica (denominazione breve della «Società Ticinese degli amici dell’educazione del popolo e di utilità pubblica», fondata nel 1837 dal futuro consigliere federale Stefano Franscini), il volume collettaneo curato da Nelly Valsangiacomo e Marco Marcacci Per tutti e per ciascuno. La scuola pubblica nel Cantone Ticino dall’Ottocento ai giorni nostri colma un’importante lacuna storiografica. L’ultima sintesi dell’argomento risale infatti alla Storia della scuola ticinese di Felice Rossi, pubblicata nel lontano 1959: negli ultimi sessant’anni i cambiamenti avvenuti nella scuola pubblica del Canton Ticino sono stati radicali, dal periodo della contestazione alla nascita della Scuola media unificata e, più recentemente, alle nuove direttive federali in seguito all’accettazione popolare del concordato HarmoS. D’altronde, nell’ultimo mezzo secolo non è solo la scuola ad aver mutato pelle: anche la ricerca storiografica, in seguito al cosiddetto «linguistic turn» e all’avvento della «storia culturale», ha introdotto nuovi campi di indagine che hanno spinto a rinnovati studi sulla scuola, sulle sue pratiche e sui suoi attori. Questa duplice impostazione si riflette nella struttura del volume che, volutamente, si divide in due parti distinte.

La prima sezione si propone di offrire un’analisi complessiva dell’evoluzione istituzionale e politica della scuola ticinese nell’arco degli ultimi due secoli.

Nell’introduzione, la curatrice Nelly Valsangiacomo espone in poche pagine le costanti storiche che hanno animato il dibattito sulla scuola. Nata con lo «Stato-Nazione», la scuola pubblica fu «il punto nodale della costruzione della memoria da parte degli Stati stessi» (p. 16) con il duplice obiettivo di fornire un’identità nazionale e di fungere da fondamentale strumento di controllo sociale, portando gli studenti ad assimilare i modelli di comportamento e le norme relative al contesto sociale di appartenenza. L’istituzione scolastica risulta dunque funzionale all’«istituzionalizzazione dei ruoli sociali» (p. 18) di una società in via di industrializzazione, all’educazione di una selezionata élite dirigente, destinata agli studi superiori, «pronta ad amministrare lo Stato e a sostenere la trasforma- zione economica in atto» (p. 16), facendo da contraltare all’istruzione dei lavoratori, a cui erano dedicati gli indirizzi di studio elementari e professionalizzanti. Non va dimenticata la distinzione di genere, con modelli di istruzione separati che confinavano le allieve a seguire scuole o discipline distinte, destinate a introdurle al loro ruolo di future mogli e madri. Col tempo, altre dinamiche – insite d’altronde nella stessa idea di «scuola pubblica» – portano a un cambiamento di paradigma: «l’accento sulle capacità individua- li di una persona», «la possibilità di un miglioramento sociale tramite la scuola» (p. 16) entrano a far parte di «una cultura comune» e invitano a considerare la scuola come fautrice di «uguaglianza» e di mutamento sociale. L’esistenza e la compresenza di questi due modelli di scuola – in una dialettica tra promotori dell’«inclusione» e dell’«esclusio- ne» – ne determinano lo sviluppo storico all’interno di una società «che in maniera un po’ schizofrenica ha sempre richiesto alla scuola al contempo poteri taumaturgici di superamento delle difficoltà e delle barriere sociali e fedele riproduzione degli schemi esistenti» (p. 17).
Il Canton Ticino non fa eccezione a questo quadro generale: già lo storico Raffaello Ceschi, citato da Valsangiacomo, poneva l’accento sulle antinomie di una scuola ticinese «che voleva superare le gerarchie sociali mantenendole, di una scuola liberatrice ma con un ruolo disciplinare» (p. 18) e in cui graduatorie, concorrenza e competizione sono da sempre parte integrante di un sistema scolastico che si vuole nello stesso tempo promotore di emancipazione individuale e collettiva.

La storia delle tensioni tra questi due paradigmi insiti nella scuola ticinese è ben illustrata dagli studi della prima parte del volume – scritti da Marco Marcacci, Fabrizio Mena e Nicoletta Solcà – che espone la nascita e gli sviluppi storici della scuola nel Canton Ticino. Rivalutando in parte la condizione delle scuole parrocchiali dell’Ancien Régime – certamente non efficienti, ma vittime soprattutto del giudizio negativo illuminista e liberale – Marcacci tratteggia con particolare finezza la politica scolastica del governo del nuovo Cantone che, tra il 1803 e il 1830, dati gli scarsi mezzi finanziari e dovendo scegliere tra le strade e la scuola, «[scelse] le strade, lasciando alla generazione seguente il compito e l’onore di creare le scuole pubbliche» (p. 28). Il realismo «prudente e moderato» del regime dei Landamani, d’altra parte, diffidava di una scuola troppo efficiente, preferendo sperimentare il metodo del mutuo insegnamento, adatto a scuole prive di mezzi come quelle ticinesi. La vera riforma si ebbe solo dopo il 1830. Fondamentale fu la legge adottata dal Gran Consiglio ticinese il 10 giugno 1831, il cui obiettivo non era tanto di creare scuole cantonali o statali, ma l’istituzione di «un’autorità di sorveglianza sugli stabilimenti di pubblica educazione» (p. 33). La legge sulla scuola in effetti esisteva dal 1804 ma restava inapplicata. L’elaborazione di una amministrazione pubblica e di programmi scolastici fu il vero atto di nascita della scuola pubblica ticinese. Altro impulso all’organizzazione scolastica fu dato dall’arrivo nel governo ticinese di Stefano Franscini nel 1837 e dalla successiva rivoluzione radicale del 1839. I radicali, infatti, introdussero un capillare controllo delle attività dei comuni affinché fossero istituite delle scuole sui loro territori, stanziando importanti fondi pubblici e preoccupan- dosi della formazione del personale insegnante. Questa nuova spinta diede vita a due nuovi ordini di scuola: nel 1845 si crearono le scuole di disegno dedicate alle professioni edili e artistiche; nel 1847 furono costituite le scuole elementari maggiori, destinate agli studenti che non intraprendevano studi classici o letterari, con l’obiettivo di fornire loro una istruzione più solida.

Un’altra tappa nell’evoluzione della scuola ticinese fu la riorganizzazione degli studi secondari, rimasti sotto il controllo degli ordini religiosi e destinati ai soli studenti maschi. Molte famiglie ticinesi, soprattutto liberali, inviavano i figli in collegi nella Svizzera interna o negli Stati italiani. Questa situazione non era adeguata alle «finalità patriottiche» che stavano alla base della costruzione dello Stato radicale ticinese: nel 1845 fu ventilata l’ipotesi di creare un’«Accademia cantonale» per dare ai giovani «la possibilità di studiare nella loro lingua in un ambiente liberale e repubblicano, invece di dover frequentare le Università italiane nelle quali imperavano concezioni ideologiche estranee allo spirito democratico e patriottico» (p. 42). Il progetto, subito accantonato perché sovradimensio- nato per la realtà ticinese, rappresenta d’altra parte la prima espressione del desiderio di offrire studi universitari sul territorio che sfocerà solo nel 1996 nella fondazione dell’USI (l’Università della Svizzera italiana). Come spiega Fabrizio Mena nel suo contributo, più successo ebbe la creazione di una più efficiente rete di insegnamento secondario, sotto la spinta di esigenze politiche e ideologiche in un momento di forte conflitto tra Stato e Chiesa: l’obiettivo era sottrarre la gioventù ticinese a istituzioni scolastiche gestite da enti religiosi «[fondati] su dottrine contrarie agli ideali liberali e repubblicani» (p. 43). La legge sulla secolarizzazione dell’istruzione venne approvata il 28 maggio 1852. Il progetto, predisposto sulla scorta dei rapporti elaborati da Carlo Cattaneo e da Gaetano Cantoni, due importanti esuli italiani, prevedeva l’apertura dei ginnasi quadriennali di Lugano, Mendrisio, Locarno, Bellinzona, Pollegio e Ascona. Il ginnasio – accessibile dopo un primo biennio alle scuole maggiori – garantiva l’ammissione all’unico liceo cantonale, con sede a Lugano, di durata triennale e proposto in due diverse opzioni: filosofia e architettura. Perno e cuore di questo nuovo istituto, che aprì i battenti nell’anno scolastico 1852–1853, fu la figura di Carlo Cattaneo, a cui fu destinata la cattedra di filosofia e la possibilità «di militare per la causa della libertà e della ragione» (p. 52). Lo sviluppo di questa rete scolastica rese necessaria la creazione nel 1873 di una Scuola magistrale atta alla formazione degli insegnanti. Le nuove esigenze economiche e le richieste della città di Bellinzona, priva di un istituto di studi superiori, portarono nel 1894 all’istituzione di una Scuola cantonale di Commercio.

Con la riforma degli studi secondari si formò l’ossatura binaria della scuola ticinese – scuole maggiori da un lato, ginnasi e liceo dall’altro – che, pur sottoposta a diverse pressioni, revisioni e riforme, si mantenne intatta per più di un secolo. Particolare importanza ebbe il conflitto ideologico tra radicali e conservatori cattolici, che per molti decenni animò il dibattito sulla cosiddetta «neutralità della scuola»; altro peso ebbe il confronto sulle impostazioni della scuola ticinese tra le indicazioni metodologiche che provenivano d’oltralpe, più indirizzate verso insegnamenti scientifici e tecnici, e le influenze del sistema scolastico italiano, che privilegiavano gli aspetti letterari e classici.

Furono però «i grandi cambiamenti dal punto di vista sociale ed economico» (p. 137) del Secondo dopoguerra, scrive Nicoletta Solcà, a imporre alla scuola un radicale ripensamento della sua struttura e della sua essenza. Emerse con urgenza la questione della «democratizzazione degli studi» che portò, negli anni successivi al Sessantotto, alla necessità di una riforma totale dell’istruzione obbligatoria, con la creazione di una scuola media unica che mettesse fine all’esperienza del ginnasio e delle scuole maggiori. La riforma aveva l’ambizione di creare una scuola che non fosse soltanto propedeutica agli studi successivi, ma «pienamente indipendente e pensata per rispondere ai bisogni specifici dei preadolescenti, considerati come esseri in una fase particolare dello sviluppo umano con sue proprie caratteristiche e necessità» (p. 145). Nello stesso tempo, un altro obiettivo era «il rafforzamento della formazione scolastica di base di tutta la popolazione» (p. 145). La nuova scuola media unica della durata di quattro anni, dopo accesi dibattiti, fu approvata il 21 ottobre del 1974 e divenne realtà completa sull’arco di un decennio. La riforma della scuola media influenzò e condizionò gli altri ordini di scuola. Il quinto anno di ginnasio fu sostituito dall’aumento della durata degli studi superiori. Data la crescita esponenziale degli studenti iscritti, al liceo di Lugano, rimasto per più di un secolo l’unico istituto cantonale, si affiancarono – tra il 1974 e il 1982 – altri quattro nuovi licei sparsi sul territorio cantonale. A questi mutamenti fece seguito la riforma degli studi liceali del 1990 e del 1995, con la revisione federale dell’ordinanza sulla maturità (ORM). Le scuole professionali furono inoltre chiamate a riorganizzarsi: comparvero nuovi centri post- obbligatori; fu introdotta la maturità professionale e, nel 1997, fu istituita la Scuola Universitaria Professionale della Svizzera italiana (SUPSI). Il grande sforzo di rinnova- mento coinvolse anche la formazione degli insegnanti, chiamati a realizzare concretamen- te le nuove direttive: la legge della scuola, approvata nel 1990, tramutò infatti la scuola magistrale di Locarno nell’Istituto cantonale d’Abilitazione e d’Aggiornamento (IAA), poi inglobato nella SUPSI come Dipartimento Formazione e Apprendimento (DFA) nel 2009.

La prima parte generale del volume si conclude esaminando le problematiche che la scuola pubblica è chiamata ad affrontare in questo secondo millennio: il processo di armonizzazione federale attraverso il Concordato HarmoS approvato dal Cantone nel 2009, implica la definizione di nuovi standard formativi e una modifica dei Piani di Studio generali; l’appoggio popolare alla scuola pubblica, così fortemente ribadito ancora nel 2001 quando fu bocciata un’iniziativa che chiedeva maggiori aiuti alle istituzione formative private, sembra nel tempo essersi un po’ affievolito; infine, «la crisi della famiglia come istituzione educativa ha portato quasi automaticamente a domandare alla scuola compiti molto più ampi che nel passato, contribuendo a creare una sensazione di affanno nel mondo scolastico da non sottovalutare» (p. 180).

Se la prima parte procede progressivamente in una forma alquanto classica, in cui la principale protagonista è la politica che, nella scia dei mutamenti sociali ed economici della società ticinese, modella e rimodella più volte la struttura e le finalità della scuola pubblica, la seconda sezione, invece, lascia spazio ai nuovi campi di indagine aperti dalla più recente storiografia. Protagonista diventa la scuola stessa, con i suoi interpreti principali: gli insegnanti, di cui viene presa in considerazione la formazione, la mobilita- zione e le condizioni di lavoro (Alberto Gandolla); le scuole stesse, attraverso una riorganizzazione continua degli spazi e degli edifici (Simona Martinola); il fondamentale ruolo delle donne nello sviluppo della scuola, dalla lotta per il diritto all’istruzione al ruolo di insegnante (Lisa Fornara). Nei saggi monografici proposti emergono soprattutto le allieve e gli allievi che frequentano la scuola e che lo Stato comincia a considerare anche dal punto di vista biopolitico, mirando a usare la scuola come luogo di sviluppo della sanità pubblica e di controllo della sessualità (Rosario Talarico). Nel solco della nuova storia culturale, viene analizzato da Alessandro Frigeri il discorso patriottico che emerge, negli anni della Difesa spirituale, dagli scritti degli allievi delle scuole elementari di Lugano, mentre Nicoletta Solcà presenta il ruolo della radiotelescuola nelle pratiche didattiche. Di tutti questi interventi è difficile presentare un sunto uniforme, perché la loro ricchezza sta nelle connessioni e nei rimandi che, completandosi a vicenda, si stabiliscono tra i vari contributi, i quali, da un lato, presentano un caleidoscopio variegato e vitale che gli scritti della prima parte del volume, per il loro carattere lineare, non posseggono; dall’altro, delineano piste interpretative e storiografiche che non debbono essere abbandonate, ma riprese e ampliate con nuovi e ulteriori studi.

Per tutti e per ciascuno. La scuola pubblica nel Cantone Ticino dall’Ottocento ai giorni nostri si presenta insomma come punto di arrivo delle conoscenze storiche sulla scuola pubblica nel Canton Ticino e come punto di partenza per ulteriori approfondimen- ti storiografici. Ed è proprio in questa duplice natura che il libro trova il suo intrinseco e più alto valore.

Zitierweise:
Maurizio Binaghi: Marco Marcacci, Nelly Valsangiacomo (a cura di): Per tutti e per ciascuno. La scuola pubblica nel Cantone Ticino dall’Ottocento ai giorni nostri, Locarno: Dadò, 2015. Zuerst erschienen in: Schweizerische Zeitschrift für Geschichte Vol. 68 Nr. 3, 2018, S. 571-575.

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Zuerst veröffentlicht in

Schweizerische Zeitschrift für Geschichte Vol. 68 Nr. 3, 2018, S. 571-575.

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